Albania – Kukes andata e ritorno

1999 In quattro da Conegliano siam partiti, ad Ancona imbarcati, Kukes destinati. Toni Speranza, Bruno Danieli, Gianni Della Santa al quale un alpino di Ponte Nelle Alpi dopo appena poche ore di navigazione lo soprannominerà “AFRICA” dove è emigrante e il sottoscritto, a Durazzo si aggregherà Ferdinando Sovran già consigliere nazionale
Precettati dal Dipartimento della Protezione Civile del Ministero degli Interni 222 alpini della P.C. dell’A.N.A. in maggioranza veneti e friulani, egregiamente coordinati dal Gen. Maurizio Gorza per costruire una tendopoli per i profughi del Kosovo.
Gli alpini che portano l’aquila nel cappello sono tornati nel paese delle “aquile” dopo 50 anni; in Albania, terra nella quale altre generazioni di alpini furono inviate a combattere controvoglia una assurda guerra. Ci sono volute 17 ore per percorrere le 300 miglia che separano Ancona da Durazzo, nelle quali il Gen. Gorza impartì le direttive della missione.
Desolante il porto di Durazzo, un ammasso di ruggine e ferraglie, carrette del mare ancorate, altre semiaffondate, i depositi di carburante senza l’isolamento di cemento, sporcizia da tutte le parti. Faceva bella mostra di sé la nave San Giorgio della Marina Militare Italiana all’ancora nel porto.
Si accorgerà quando scende di quello che troverà” mi disse il comandante del traghetto; aveva ragione, immondizia da tutte le parti, carcasse di auto abbandonate, abitazioni fatiscenti simili alle favelas brasiliane però con l’antenna satellitare, strade impraticabili dove anche i migliori mezzi fuoristrada erano in difficoltà.

Dodici ore per raggiungere Kukes e sono solo 240 Km., fortificazioni in cemento ovunque fatti costruire nel periodo della dittatura comunista per l’ossessiva paura che l’Albania venisse invasa da altri paesi, isolandosi dal resto del mondo civile privilegiando la lontana Cina. Troppi tanti anni di dittatura hanno portato la nazione allo sfascio, tutti ora possono vedere i disastri della dittatura.
I 52 mezzi che compongono la colonna salgono a passo d’uomo verso la meta su strade impossibili senza segnaletica stradale con strapiombi che sovente non si vedeva il fondo senza parapetti, siamo passati su di un ponte fatiscente con il ferro ruggine che usciva dai pilastri, Cesare Poncato disse: “ i ne a fat ricolaudar el pont”.
Dai finestrini del Bremach della Regione Veneto era impossibile non vedere le fabbriche abbandonate, distese di serre distrutte, pochi i terreni adibiti ad agricoltura.
Nel senso opposto di marcia mezzi di ogni genere scendevano a valle carichi di profughi in fuga, auto senza targa strappata dai serbi al confine di Morini, “scafisti di terra” albanesi che con ogni mezzo utile portavano a pagamento i profughi a valle, guidavano come pazzi per poter fare più viaggi possibili.
Kukes città di confine con quasi 25.000 abitanti, che in quel periodo ne ospitava circa 70-80 mila disgraziati, nel primo turno i volontari A.N.A., costruirono una tendopoli che però poteva ospitare solo una piccola parte della marea umana di profughi presenti nella città. 

Nella struttura operavano solo Italiani, qualche funzionario del Dipartimento, alcuni Carabinieri, sei o sette vigili del fuoco con quattro cisterne per l’acqua potabile, la C.R.I. Militare con un piccolo ospedale da campo. Poliziotti albanesi armati di kalashnikov con il colpo in cappa impedivano che altri profughi entrassero nel campo al limite del collasso.
Fuori del campo la vecchia miniera di rame in disuso, ogni angolo, ogni spazio disponibile era occupato. Sotto teli di nailon cercavano riparo dai frequenti temporali che rendevano il terreno impraticabile, nel fango senza acqua potabile senza servizi igienici al limite della sopravvivenza, per fortuna la temperatura impediva il prodigarsi di infezioni, ma quando farà caldo cosa accadrà?. Anziani, donne, bambini che dormivano mangiavano in mezzo all’immondizia, neonati che portavano gli stessi pannolini di sei sette giorni senza possibilità di ricambio “l’apocalisse del 2000”.
Venti alpini del nostro gruppo rimasero in quel campo per dare una mano alla C.R.I. tutti gli altri a montare il nuovo campo di Kukes 2, distante dal primo un kilometro, in un altopiano brullo e desolato dove i militari greci avevano già montato un centinaio di tende bianche senza fondo e senza scavare le scoline che impediscono l’entrata dell’acqua nelle tende, abbandonandolo.

A sud ovest del campo una postazione di artiglieria albanese con i pezzi puntati verso il Kosovo.
Per poter posizionare le tende è stato necessario prima livellare il terreno, squadre alle pale altri che montavano le tende per posizionarle poi nel terreno livellato. Per impedire furti o atti vandalici sono stati creati i turni di guardia, per nostra fortuna alcune sezioni avevano al seguito i gruppi elettrogeni che si sono rilevati preziosi in quanto illuminavano a giorno parte del campo. Poche le ore di sonno disturbate anche dai colpi della contraerea serba che sparava agli aerei Nato in missione notturna.
Tutto tranquillo il secondo giorno a parte qualche colpo di mina in lontananza, sera Don Bruno un piccolo barbuto prete della Caritas di Treviso, ma aggregato alla sezione di Bassano, decise di celebrare la messa, venne bruscamente interrotto dall’arrivo imprevisto di circa 2000 profughi.
I miliziani serbi li avevano tenuti per giorni bloccati al confine di Morini, li vedemmo scendere per i sentieri di montagna a piedi, sono arrivati in condizioni disperate, piedi piagati ferite di vario genere, affamati e assetati. Drammatico l’arrivo di una giovane donna kosovara con in braccio il suo bambino di 18 mesi morto da poche ore, aveva vagato per i monti per cercare scampo alla pulizia etnica. Il piccolo corpo venne riposto in un container del dipartimento.
Tutte le bianche tende greche vennero riempite di profughi distribuendo loro acqua e viveri a secco, le corse all’infermeria a riempire di latte i biberon dei lattanti, sarà difficile dimenticare quella notte.
Con il passare delle ore i profughi cominciavano a familiarizzare con gli alpini, raccontando in un italiano stentato delle violenze subite, di villaggi dati alle fiamme dai miliziani serbi.
Viavai per il campo di osservatori di altre nazioni che chiedevano informazioni sul metodo di operare copiando l’esperienza e la professionalità degli alpini, uomini in mimetica con evidenti stemmi dell’U.C.K, molti dei quali emigranti in Europa e rientrati per arruolarsi per combattere per il Kosovo.

L’ultima sera finalmente Don Bruno poté celebrare la messa interrotta sere prima, a fine cerimonia alpini friulani e dell’Alpago hanno cantato il signore delle cime registrata da inviati di rete 4.
Alle 3 di notte del sabato sveglia per la partenza per Durazzo sotto un diluvio, è stato necessario trainare fuori dal campo alcuni mezzi impantanati. per 4 ore abbiamo atteso l’arrivo della polizia albanese per la scorta, partimmo da soli, venimmo poi a sapere che la polizia non era arrivata perché era rimasta senza benzina.
Qualcuno era preoccupato all’imbarco di domenica per lo stato del mare agitato (forza 6), tutto però andò per il meglio. Doveroso l’omaggio agli alpini del Battaglione Gemona affondato dagli Inglesi nel 1942 con la nave Galilea, in quella tragedia perirono più di 1200 alpini quasi tutti provenienti dalle vallate friulane.
Ci attendeva ad Ancona il gran capo Antonio Sarti che strinse la mano a tutti i volontari, gli ultimi saluti poi tutti a casa, stanchi ma ci rincuorati dal fatto di aver contributo ad alleviare alle sofferenze dei profughi.

Andrea Danieli